23 gennaio 2016
Una buona notizia: l’interesse per una tematica tipicamente “religiosa” esce
dai recinti confessionali e viene illustrata con passione da un non credente.
E’ quanto accade nell’agile libro di Giancarlo Bosetti, Fedi in dialogo. Il
mondo ne ha bisogno, EMI.
L’autore è un giornalista, direttore di RESET, rivista di cultura e di
politica.
Ribadisce nel libro di non avere nessuna fede religiosa. Dimostra però di avere
ottima conoscenza del dibattito, che qua e là, per opera di qualche profeta
illuminato, emerge all’interno del panorama religioso mondiale, a proposito di
un dialogo che possa superare steccati e pregiudizi degli uni nei confronti
degli altri e portare ad un incontro e ad una collaborazione per la causa della
pace.
In nessuna religione attualmente vi è una maggioranza
appassionata per questa causa.
Sono delle minoranze quelle a cui è affidata la speranza che le consonanze e le
intese possano crescere.
Bosetti racconta con precisione anche quanto accaduto nella chiesa cattolica
negli ultimi decenni. Dove la riflessione più avanzata è stata quella di
Jacques Dupuis, teologo belga, per anni insegnante in India, che ha però
incrociato l’ostilità e la censura della Congregazione per la dottrina della
fede, presieduta dal card. Ratzinger, che lo ha sospeso dal suo insegnamento
alla Pontificia università Gregoriana.
Per altro Bosetti riferisce dell’impulso offerto all’inizio del suo pontificato
da Giovanni Paolo II con la preghiera di Assisi del 1986 e i seminari estivi
promossi dal pontefice dal 1983 fino ai primi anni novanta, con filosofi e
scienziati, con un momento alto e significativo di dialogo della chiesa con la
cultura laica e la scienza, le altre culture e le religioni.
Racconta del contributo generoso e illuminato di Hans Kung,
teologo tedesco, che è riuscito a far approvare un documento, nel 1993 a
Chicago, dal Parlamento mondiale delle religioni, un organismo cui partecipano
esponenti di tutte le religioni del mondo a sostegno della pace, dei diritti
umani, della sostenibilità ambientale e della solidarietà contro la fame. Per
altro Hans Kung ha subito, nei primi anni 80, una condanna della Congregazione
per la dottrina della fede e da allora non ha più la cosidetta “missio
canonica” per insegnare teologia cattolica.
Ma non è solo all’interno della chiesa cattolica che coloro
che sostengono il dialogo sanno di esporsi alle critiche dei custodi del dogma.
Bosetti racconta di aver conosciuto e frequentato Nasr Abu Zayd, teologo
islamico egiziano costretto a lasciare il suo paese per aver sostenuto una
lettura del Corano affidata all’interpretazione e non al semplice commento. Abu
Zayd ha studiato negli Stati Uniti e in Giappone, ha conosciuto la filosofia
occidentale e orientale circa la pratica e la lettura dei testi, ne ha tratto
una sintesi personale in grado di superare il letteralismo dell’ortodossia
islamica.
Bosetti lo annovera giustamente tra i grandi illuminati del dialogo
interreligioso e sollecita una diffusione della biografia di questi profeti.
Il libro giunge fino ai nostri giorni: la visita alla Moschea Blu di Istanbul
di Benedetto XVI nel 2006 e la preghiera di papa Francesco, nello stesso luogo
nel novembre 2014, dove per due volte ha invitato il gran muftì alla preghiera
comune: “Dobbiamo adorare Dio. Non solo bisogna lodarlo e glorificarlo, ma
dobbiamo adorarlo”.
“Quel che accade oggi è che la convivenza di tante confessioni
sullo stesso territorio, nelle stesse città o nella sfera dei media, di
Internet, delle televisioni satellitari, in una parola la globalizzazione, ci
costringe non solo a tollerarci come vicini, ma a toccarci e urtarci
continuamente, nella vistosissima presenza degli uni davanti agli altri, perchè
è proprio di tutte le religioni l’uso di “segnare” il territorio con gli
edifici e i simboli religiosi, con l’abbigliamento, con le ricorrenze festive e
i riti che coinvolgono la vita comune, con i cibi e i suoni che differenziano
una fede dall’altra. Ha ragione Raimond Panikkar quando dice efficacemente:
“siamo gettati gli uni nelle braccia degli altri”.
Il dialogo è dunque già nel fatto del vicinato e della convivenza
e, nonostante il “costo” teologico che inevitabilmente impone e la sfida che
presenta alle versioni esclusiviste di ciascuna fede, esso è indispensabile per
combattere la violenza, creare società aperte alla libertà religiosa e anche
per favorire la collaborazione intorno a problemi comuni”.
Gabriele Arosio
Fonte: www.glistatigenerali.com
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