Intervento
del moderatore della Tavola Valdese, past. Eugenio Bernardini, in occasione
della storica visita del Papa alla chiesa valdese di Torino il 22.06.2015
Caro papa Francesco, caro fratello in Cristo, mi
permetta di accoglierLa in questo tempio rivolgendomi a Lei con questa
espressione dei primi credenti che seguirono Gesù diventando i suoi discepoli e
i suoi apostoli. Rivolgendoci a Lei come il fratello in Cristo Francesco, noi
riconosciamo la nostra comune condizione di figli di quel Dio che è “al di
sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Efesini
4,6).
I valdesi del ramo italiano, da me rappresentati,
e i metodisti – qui rappresentati dalla presidente Alessandra Trotta – e i
rappresentanti delle Chiese evangeliche sorelle luterane, battiste, avventiste,
salutiste, La accolgono con gioia, avendo apprezzato molti discorsi e molti
gesti che Lei ha compiuto sin dall’inizio del suo ministero. Come Moderatore
della Tavola valdese, voglio ringraziarLa in particolare per le parole di
fraternità che Lei ha ripetutamente espresso nei confronti della nostra Chiesa.
Entrando in questo tempio, Lei ha varcato una
soglia storica, quella di un muro alzatosi oltre otto secoli fa quando il
movimento valdese fu accusato di eresia e scomunicato dalla Chiesa romana.
Qual era il peccato dei valdesi? Quello di essere un movimento di evangelizzazione popolare svolto da laici, mediante una predicazione itinerante tratta dalla Bibbia, letta e spiegata nella lingua del popolo.
Da oltre otto secoli, attraverso una storia a lungo segnata da varie forme di persecuzione e quindi scritta anche col sangue di molti martiri, non abbiamo voluto essere altro che una comunità di fede cristiana al servizio della parola di Dio e della libertà del suo annuncio.
Qual era il peccato dei valdesi? Quello di essere un movimento di evangelizzazione popolare svolto da laici, mediante una predicazione itinerante tratta dalla Bibbia, letta e spiegata nella lingua del popolo.
Da oltre otto secoli, attraverso una storia a lungo segnata da varie forme di persecuzione e quindi scritta anche col sangue di molti martiri, non abbiamo voluto essere altro che una comunità di fede cristiana al servizio della parola di Dio e della libertà del suo annuncio.
Questa libera predicazione dell’Evangelo di Cristo avviene oggi in un’Italia largamente secolarizzata, ma almeno avviene in un contesto sempre più ecumenico grazie all’impegno e all’apertura spirituale di evangelici e cattolici, come questa Sua visita dimostra in modo eloquente.
A questo proposito, abbiamo letto nella Sua
«Esortazione apostolica» Evangelii gaudium due affermazioni sul modo
di intendere e vivere l’ecumenismo che siamo lieti di poter condividere.
La prima riguarda la visione dell’unità cristiana come «diversità riconciliata» che Lei propone (n. 230), e che è la stessa che l’ottava Assemblea mondiale della Federazione Luterana riunita a Curitiba (Brasile) proponeva nel 1990. Crediamo anche noi che l’unità cristiana possa e debba essere concepita proprio così: come «diversità riconciliata», in cui occorre sottolineare sia la parola «diversità», sia l’esigenza che sia «riconciliata».
La prima riguarda la visione dell’unità cristiana come «diversità riconciliata» che Lei propone (n. 230), e che è la stessa che l’ottava Assemblea mondiale della Federazione Luterana riunita a Curitiba (Brasile) proponeva nel 1990. Crediamo anche noi che l’unità cristiana possa e debba essere concepita proprio così: come «diversità riconciliata», in cui occorre sottolineare sia la parola «diversità», sia l’esigenza che sia «riconciliata».
La seconda affermazione riguarda i rapporti tra
le diverse chiese cristiane. Lei scrive: «Sono tante e tanto preziose le cose
che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello
Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta
solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di
raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per
noi» (n. 246).È molto bello questo pensiero di cercare nelle chiese diverse
dalla nostra non i difetti e le mancanze – che indubbiamente ci sono – ma ciò
che lo Spirito Santo vi ha seminato «come un dono anche per noi».Proprio questo
è l’ecumenismo: la fine dell’autosufficienza delle chiese; ogni chiesa ha
bisogno delle altre per realizzare la propria vocazione. Non possiamo essere
cristiani da soli.
Ma proprio perché è così, riteniamo che i
rapporti tra la Chiesa valdese (Unione delle Chiese metodiste e valdesi) e la
Chiesa cattolica romana, che già hanno prodotto buoni frutti in diversi ambiti
– ricordo solo la traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente
(TILC), la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la collaborazione
a livello di facoltà teologiche, il testo comune tra CEI e valdesi e metodisti
sui matrimoni interconfessionali, la collaborazione alla stesura della Carta
Ecumenica, fino al documento comune cattolici-evangelici-ortodossi per
contrastare la violenza contro le donne che abbiamo sottoscritto insieme il 9
marzo scorso – ecco, questi buoni frutti possano essere ulteriormente
migliorati e incrementati, nei modi che potremo cercare e stabilire insieme.
Dovremo affrontare, però, anche
questioni teologiche tuttora aperte.
E poiché ci è data oggi questa
bella occasione di incontro e di dialogo, vorrei proporne almeno due che ci
stanno Visita di papa Francesco alle Chiese Valdesi e metodiste (foto
Romeo/Riforma) particolarmente a cuore.
La prima è questa: il concilio
Vaticano II ha parlato delle chiese evangeliche come di «comunità ecclesiali».
A essere sinceri, non abbiamo mai capito bene che cosa significhi questa
espressione: una chiesa a metà? Una chiesa non chiesa? Conosciamo le ragioni
che hanno spinto il Concilio a adottare quell’espressione, ma riteniamo che
essa possa e debba essere superata. Sarebbe bello se questo accadesse nel 2017
(o anche prima!), quando ricorderemo i 500 anni della Riforma protestante. È
nostra umile ma profonda convinzione che siamo Chiesa: certo peccatrice, semper
reformanda, pellegrina che, come l’apostolo Paolo, non ha ancora raggiunto la
mèta (Filippesi 3,14), ma chiesa, chiesa di Gesù Cristo, da Lui convocata,
giudicata e salvata, che vive della sua grazia e per la sua gloria.
La seconda questione, che
sappiamo quanto sia delicata, è quella dell’ospitalità eucaristica. Tra le cose
che abbiamo in comune ci sono il pane e il vino della Cena e le parole che Gesù
ha pronunciato in quella occasione. Le interpretazioni di quelle parole sono
diverse tra le chiese e all’interno di ciascuna di esse.
Ma ciò che unisce i cristiani
raccolti intorno alla mensa di Gesù sono il pane e il vino che Egli ci offre e
le Sue parole, non le nostre interpretazioni che non fanno parte dell’Evangelo.
past. Eugenio Bernardini (foto
Romeo/Riforma) Sarebbe bello se anche in vista del 2017 le nostre chiese
affrontassero insieme questo tema.
In questa giornata, però, non
possiamo dimenticare le sofferenze del mondo e le sfide che il mondo pone alle
nostre chiese.
Anche su questo piano abbiamo in
atto importanti collaborazioni che possono crescere ulteriormente.
Per esempio nel campo della
libertà di religione e di coscienza.
Proprio per la nostra storia di
minoranza “eretica” prima, “tollerata” poi, “ammessa” successivamente e
finalmente “riconosciuta”, noi avvertiamo una forte responsabilità nei
confronti di chi ancora oggi – in varie aree del mondo ma anche in Europa e in
Italia – è discriminato o perseguitato a causa della sua fede, sia egli
cristiano o di altre fedi – per noi non fa differenza – perché, affermando il
valore della libertà della coscienza, riteniamo che chiunque debba essere
libero e libera di credere secondo la sua ispirazione, così come debba essere
libero e libera di non credere o di credere in forme non convenzionali.
Un altro campo sul quale i
cristiani e le cristiane dovrebbero impegnarsi con più forza e unità è quello
del dialogo interreligioso.
Visita di papa Francesco alle
Chiese Valdesi e metodiste (foto Romeo/Riforma) Oggi il mondo è attraversato da
guerre che spesso si combattono “nel nome di Dio”. Questa pretesa blasfema di
una religione ridotta a ideologia di violenza e di vendetta scuote la nostra
coscienza e ci impone di perseguire con determinazione – come Lei tante volte
ha fatto – un’altra strada: quella del dialogo tra uomini e donne che,
confessando l’unico Dio, non possono condividere parole e gesti di offesa,
oltraggio e violenza nei confronti di altri credenti e di altri essere umani, e
che invece insieme riescono a tracciare e percorrere strade diverse, strade di
pace.
Per noi cristiani – cattolici,
protestanti, ortodossi – il richiamo a essere “operatori e operatrici di pace”
non è un ornamento retorico della nostra fede ma il cuore della legge
dell’amore e della riconciliazione voluta da Gesù Cristo.
E parlando di amore e
riconciliazione, caro fratello in Cristo Francesco, sento di dover cogliere
questa occasione per richiamare l’urgenza di proseguire e intensificare la
testimonianza – talora comune ed ecumenicamente ispirata – a favore dei
profughi che bussano alla nostra porta.
La “fortezza Europa” li respinge
rigettandoli nell’abisso di sofferenze, persecuzioni e dolore da cui fuggono;
ma la legge che il Signore afferma ci impone di accogliere lo straniero,
l’orfano e la vedova; e l’Evangelo che noi predichiamo dalle nostre chiese e
dai nostri pulpiti ci invita ad aprire la porta della nostra casa, Visita di
papa Francesco alle Chiese Valdesi e metodiste (foto Romeo/Riforma)a dare da
mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete perché solo accogliendo chi
soffre si può accogliere Cristo.
L’ecumenismo cresce anche nel
servizio (diakonìa) e in una predicazione comune che scuota i cuori e le
coscienze di chi pensa di risolvere il dramma sociale e umanitario che investe
grandi regioni del mondo alzando altri muri, bombardando dei barconi o
pattugliando il Mediterraneo con mezzi militari.
E termino.
Chiudendo quest’anno la Settimana
di preghiera per l’unità dei cristiani, nella basilica di San Paolo fuori le
mura a Roma, Lei ha affermato: “L’unità dei cristiani non sarà il frutto di
raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere
l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell'Uomo e ci
troverà ancora nelle discussioni. Dobbiamo riconoscere che per giungere alla
profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno gli uni degli altri, di
incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza
le diversità e supera i conflitti”.
Condividiamo queste sue parole.
Visita di papa Francesco alle Chiese Valdesi e metodiste (foto Romeo/Riforma) Secoli
di confronto e dibattito non hanno appianato, purtroppo, divergenze teologiche
che in larga misura hanno resistito nel tempo. Eppure oggi siamo qui a
riconoscerci come figli del Padre, fratelli in Cristo, gli uni e gli altri
animati dalla forza dello Spirito Santo.
Di fronte a noi c’è un mondo
inquieto, sofferente, carico di tensioni; un mondo sovraccarico di parole mute,
sterili, vane.
In questo mondo, noi cristiani
siamo chiamati a dire la Parola della verità e della vita, una parola che non
ritorna invano ma che cambia i cuori e le menti.
Annunciare questa Parola è la
nostra fatica e la nostra gioia di sorelle e fratelli in Cristo.
Ed è il nostro vero mandato
ecumenico, caro fratello Francesco: quello che ci chiama all’unità anche e
soprattutto nell’annuncio della Parola “perché il mondo creda” (Giovanni
17,21).
Caro papa Francesco, grazie per
essere tra noi e con noi.
Dio illumini e benedica il Suo
servizio.
Torino, 22 giugno 2015
Come si è permesso quest'uomo di parlare a nome di chiese, li c'erano rappresentanti di comunità di orientamento liberale certamente no le chiese bibliche... Quindi la prossima volta parlassero per loro invece di tirare in ballo la chiesa di Gesù Cristo fedele e conservatrice!!!
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